LA PRATICA FILOSOFICA
Certamente, è possibile affermare che tutto il lavoro filosofico è una pratica, poiché è sempre un esercizio di pensiero. Tuttavia, la distinzione che introduciamo tende a privilegiare una certa idea della filosofia, dove non è tanto la conoscenza degli autori, delle scuole e della tradizione che ci interessa, quanto l’attività del pensiero in quanto tale. Tra Socrate e Aristotele si è creato un forte divario. La filosofia come dialogo è diventata un’attività di conferenza, in cui un insegnante fornisce ai suoi discepoli le conoscenze che essi devono assimilare, una forma oggi piuttosto diffusa nell’accademia.
Con la pratica filosofica intendiamo un esercizio che non è riservato a una élite intellettuale, ma non è nemmeno una divulgazione della cultura filosofica. Si tratta di realizzare ciascuno i diversi aspetti del filosofare. Interrogare, discutere, problematizzare, concettualizzare, analizzare … Tanti gesti necessari per questa arte marziale del pensiero. Che sia per mettere in discussione e capire il mondo, gli altri e se stessi, per determinare al meglio le nostre azioni, per il semplice piacere di pensare.
Filosofare é cessare di vivere
Coloro che si dedicano alla filosofia nel modo corretto, non fanno altro che prepararsi per il momento della morte e la condizione della morte” Plato
“Il Tao Te King è misterioso a tal punto che si è desiderosi di morire non appena se ne sente parlare” Confucio
Se fare filosofia significa imparare a morire, imparare come morire, questa non può essere fatta in nessun’altra maniera che allenandosi a morire. Perciò, la nostra proposta è che fare filosofia significhi effettivamente morire, così da acquisire un’esperienza autentica della morte. Cercheremo di mostrare nel testo come fare filosofia sia cessare di vivere, o, in altre parole, come la filosofia si opponga alla vita. E ciò, nonostante il fatto che questo cessare della vita sia una condizione della vita stessa.